Il 2023 sarà ricordato come un anno davvero strano. Da una parte è considerabile come uno degli anni migliori di sempre in termini di uscite, dall'altra è anche quello in cui le ferite del mercato tradizionale hanno iniziato a perdere sangue e non si riesce più a tamponarle.
I grandi successi di Hogwarts Legacy, Baldur's Gate 3, Starfield, Resident Evil 4, Dead Space e altri ancora, sono stati accompagnati dalla crisi di Embracer, Square Enix e Ubisoft, da licenziamenti diffusi, dalla chiusura di studi medi e piccoli come Mimimi e Volition, dal tentativo di colpo di mano di Unity, da Sony che ha svelato i suoi piani in ambito live service e quant'altro.
Anche il famoso consolidamento, evocato come unico modo per salvare l'intera baracca, sta iniziando a mostrare segni di logoramento, così come li sta mostrando la terra promessa dei servizi in abbonamento che, dopo le gioie iniziali distribuite un po' a tutti, sta creando una voragine di mercato tra chi è fuori e chi è dentro, con editori come Devolver Digital che hanno deciso di tirarsi indietro perché le offerte si sono fatte più modeste.
Costi di sviluppo alle stelle
Il problema è noto ed è stato espresso più volte, a partire dall'ex capo di PlayStation Shawn Layden, che in tempi non sospetti parlò di insostenibilità del mercato tradizionale, in particolare quello tripla A, con i costi che finiscono per raddoppiare a ogni generazione.
Nel corso dei mesi e degli anni sono diverse le personalità dell'industria che hanno ribadito il punto, pubblicamente e non. Giusto recentemente è emersa un'email di Phil Spencer in cui il capo della divisione gaming di Microsoft ha fatto un'analisi spietata del mercato attuale, parlando di editori impauriti dai rischi dovuti all'aumento dei costi produttivi, che non lanciano più nuove proprietà intellettuali e che si affidano sempre di più a serie note e affermate per tenere alte le vendite. Di fatto il mercato classico appare vivo solo per la forza della spinta che arriva dal basso, lì dove il vertice è impaludato in un circolo vizioso che non gli permette di fare mezzo passo in avanti.
Oggi ha ribadito il punto il presidente di Capcom, Haruhiro Tsujimoto, che ha parlato di prezzo di giochi troppo basso rispetto ai costi di sviluppo sempre più esosi. Apriti cielo! Come si possono fare affermazioni del genere in un mercato che produce successi milionari come quelli elencati sopra? Hanno urlato in molti.
Purtroppo nascondere la testa sotto la sabbia non serve a niente, perché i segni della crisi ormai sono moltissimi e non si riesce a capire come uscirne. Crisi che oltretutto non è un affare recente, ma viene da lontano. Come saprete la serie Gears of War fu creata da Epic Games. Il primo, il secondo e il terzo capitolo, quelli gestiti direttamente dallo studio dell'Unreal Engine, incassarono più o meno la stessa cifra e possono essere considerati tre giochi di successo, eppure fu proprio quel successo a far decidere a Epic Games di abbandonare il mercato tradizionale per quello dei live service. Il motivo? Il primo Gears of War era costato circa sei volte meno del terzo. Sostanzialmente il pubblico c'era, ma non cresceva in quantità tale da compensare l'aumento dei costi di sviluppo. Era la fine della generazione Xbox 360 e il mercato tradizionale mostrava già qualche crepa. Purtroppo ormai alcune colonne portanti sono crollate. Saranno ricostruite in tempo?