Rivangare la famosa questione del mercato digitale contro il fisico, per quanto riguarda i videogiochi, sembra ormai anacronistico visto che la tendenza verso il primo è ormai affermata, ma la questione fa ancora ampiamente discutere, come dimostrato anche dalle recenti dichiarazioni di Hideo Kojima, che si è detto timoroso di un futuro esclusivamente votato al digitale. L'evoluzione verso quest'ultimo è inevitabile, come dimostrato anche da molti altri prodotti d'intrattenimento e multimediali come film, video, musica e anche narrativa, dunque non si tratta più tanto di una questione di preferenza quanto di un naturale adattamento del mercato alle esigenze e alle modifiche dell'ambiente produttivo, ma proprio questa spinta proveniente dai produttori stessi può portare diversi interrogativi agli utenti finali, che possono ritrovarsi di fronte a effetti alquanto indesiderati di questa evoluzione.
L'aspetto più superficiale della questione è quello che riguarda le preferenze che potremmo definire collezionistiche: il prodotto fisico è preferito da coloro che amano collezionare oggetti, toccarli con mano e conservarli da qualche parte per poterli vedere e avere in questo modo un certo feedback sensoriale derivante dal prodotto vero e proprio. Questo "bisogno" è ciò che probabilmente spingerà sempre di più la produzione fisica verso le edizioni speciali tra cofanetti e "collector's" varie, le uniche che, al giorno d'oggi, hanno ancora senso visto che le versioni standard sono spesso delle mere scatole di plastica senza alcun extra, in diversi casi persino prive di disco. Il mercato videoludico, d'altra parte, ha visto una drastica riduzione nella qualità del packaging e della composizione fisica dei prodotti da svariati anni a questa parte, cosa che ha reso sempre meno sensato l'acquisto in versione retail al di là del vantaggio dato dalla possibilità di rivendere in un secondo momento l'oggetto acquistato.
Questo è l'argomento iniziale propugnato da Kojima nei suoi tweet, parlando proprio del cofanetto speciale dedicato al gruppo Tangerine Dream che ha fatto scaturire la riflessione social del game designer. Può essere considerato, tuttavia, anche l'aspetto meno importante della questione: come riferisce più avanti lo stesso Kojima, l'aspetto più inquietante di un futuro esclusivamente digitale sarebbe la possibilità di non possedere effettivamente alcun prodotto acquistato. La prospettiva è quella dei catastrofisti (ancora di più se si pensa che Kojima si riferisce al mercato musicale): se un giorno dovesse decadere il supporto online collegato alla verifica delle licenze, allora i giochi digitali non funzionerebbero più e di fatto non possederemo più i titoli regolarmente acquistati. Ovviamente è una visione decisamente remota, ma rappresenta forse l'aspetto effettivamente preoccupante di questa digitalizzazione ormai imperante in tutti gli ambiti multimediali.
Kojima si riferisce ai CD e alla musica in digitale, ma la questione è stata sollevata anche per quanto riguarda i videogiochi. L'idea che i server di Microsoft, Sony o Nintendo possano essere spenti senza possibilità di recupero dei dati ha più a che fare con una sorta di scenario apocalittico che con una previsione sensata, ma è possibile che nel giro di molti anni questo possa avvenire, cosa che renderebbe i giochi inutilizzabili e soprattutto determina una differenza sensibile tra il modo classico di fruire i videogiochi e quello nuovo (di fatto, un NES continuerà a far funzionare i suoi giochi per sempre, almeno finché ci sarà corrente elettrica e la console funzioni). D'altra parte, la digitalizzazione porta anche molti vantaggi tra la comodità di fruizione, il fatto di collegare gli acquisti a un account e, potenzialmente, il fatto di poter preservare anche più facilmente la propria libreria a prescindere dal contesto storico, come sta dimostrando da tempo soprattutto Microsoft con la sua retrocompatibilità.
Oltre a tutto questo ci sono da valutare anche tutti i risparmi in termini economici ed energetici che il digitale dovrebbe comportare, cose che non vanno a solo vantaggio dei produttori ma anche di tutta la comunità, in un'ottica di risparmio energetico e di materiali di scarto. Il bilancio generale va sicuramente a favore del digitale, ma è indubbio che questo spostamento verso la smaterializzazione dei prodotti, incrementato ulteriormente dall'espansione dei servizi e del consumo in streaming, si porti dietro la necessità di accettarne i rischi e l'idea che il possesso sugli acquisti sia allo stesso modo immateriale e dipendente da fattori fuori dal nostro controllo. Cosa che ha aspetti piuttosto inquietanti, a pensarci bene.