"Beh, mi aspettavo molto peggio"... Questa è stata la prima riflessione che ci ha raggiunto mentre eravamo lì a spegnere PlayStation 5 dopo la prima, lunga sessione di gioco a Dragon Age: The Veilguard. E dobbiamo ammettere che per buona parte dell'avventura questa considerazione ci ha fatto costantemente compagnia, quasi a volerci ricordare che la nuova opera di BioWare poteva essere un completo disastro. Tra il cambio di titolo, le presentazioni ripetute ad anni di distanza, i primi trailer di gameplay, dichiarazioni di ogni tipo venute fuori nei contesti più disperati, la software house aveva fatto veramente di tutto per prepararci a un esito infausto.
Invece, dopo decine di ore di gioco sulle spalle, dobbiamo assolutamente dichiararlo: pur con i suoi alti e bassi e nonostante quell'effetto "mischione" che si prova costantemente andando avanti nell'avventura, The Veilguard riesce a essere un gioco di ruolo action molto più che sufficiente. Una produzione che, se si tiene conto della sua lunghissima gestazione e di uno sviluppo che definire travagliato è un eufemismo, riesce persino a stupire.
Ora, è fondamentale tenere da parte, ben lontani, un Baldur's Gate III, un Elden Ring o persino un Dragon's Dogma II, volendo citare le produzioni ruolistiche più appariscenti di quest'ultimo triennio che potrebbero essere considerate le concorrenti più dirette di questa nuova produzione BioWare perché, pur avendo simili valori produttivi, si allontanano moltissimo sia per quello che riguarda l'interpretazione del gioco di ruolo, sia per il risultato qualitativo finale. Ma è anche vero che The Veilguard, un po' come avvenne con i tre precedenti capitoli di Dragon Age, rappresenta quasi un unicum: è spiccatamente action e con un enorme focus sui personaggi, un po' come il secondo capitolo della serie, ma ha anche un'esplorazione con mappe aperte, spesso sbilanciata sulla riesplorazione di ambienti già visti in precedenza, elementi che ricordano tanto Inquisition. Mentre da Origins sembra raccogliere la volontà di approfondire, in modo forse persino logorroico, l'universo storiografico di riferimento, rimanendo ben lontano dalle vette raggiunte da quel capitolo d'esordio. Ora, tolta questa doverosa premessa, com'è in concreto Dragon Age: The Veilguard? Se non avete fretta di correre verso il commento e il numerino finale, mettetevi comodi che cercheremo di raccontarvelo.
La storia di un vero seguito
The Veilguard è ambientato circa una decina di anni dopo Inquisition ed è a tutti gli effetti un seguito diretto di quel titolo. Ci sono diversi personaggi ricorrenti, su tutti Varric che funge da mentore, nonché elemento giustificativo della nostra presenza all'interno del gruppo che tenterà di bloccare Solas; e c'è ovviamente anche quest'ultimo che torna dai precedenti capitoli e che rappresenta l'antagonista iniziale e colui che mette in moto tutta la vicenda. Nei panni di un personaggio che potremo creare completamente da zero e che sarà soprannominato Rook, dovremo inizialmente bloccare il dio elfico dal completare un rituale che porterà allo strappo del Velo e alla conseguente invasione di demoni e divinità un tempo imprigionate. Chiaramente non tutto andrà per il verso giusto e, soprattutto, non tutti saranno davvero ciò che appaiono e ben presto dovremo fare i conti con una vicenda molto più grande di noi, densa di accadimenti e capace di coinvolgere numerosi comprimari e avversari.
Veilguard è enorme, questo vogliamo che sia chiaro fin da queste prime battute: sarà veramente molto difficile che riusciate a completarlo in meno di 45-50 ore anche correndo, e sarà molto facile infrangere le 80 ore volendo portare a termine l'oceano di missioni secondarie che il gioco offre, così come esplorare ogni anfratto dei numerosi scenari che compongono questo mondo. Su questo fronte BioWare non si è davvero risparmiata ed è complesso potersi lamentare della bulimia contenutistica di questo GdR, a meno che non siate personalmente infastiditi dai titoli che soffrono di gigantismo e della presenza massiccia di indicatori e simbolini che abitano le mappe dell'area (tranquilli perché l'interfaccia è completamente personalizzabile e anche adeguatamente riducibile ai minimi termini).
Ma già a partire dallo svolgimento della narrazione si evidenzia quell'alternanza continua di alti e bassi che caratterizza tutta la produzione: l'intera sceneggiatura è densa di momenti morti, ci sono almeno un paio di fasi centrali che stonano sia rispetto a un incipit molto affascinante che a diverse situazioni accattivanti e in cui il pathos è piacevole. Tipico poi di ogni gioco di ruolo così vasto, il dipanarsi delle missioni alterna incarichi davvero ben scritti a vicende assolutamente inutili, ripetitive e che davvero non si capisce come si possano inserire con coerenza all'interno di un mondo che sta chiaramente cadendo in rovina a causa degli eventi messi in moto da Solas.
E lo stesso vale anche nelle interazioni con i personaggi: i sette eroi che ci faranno compagnia per l'intera trama, pur nella loro presenza spesso macchiettistica e caricaturale, sono tutti ben delineati e hanno spesso vicende personali che li rendono persino credibili: questo cozza in modo drammatico con gli altri personaggi chiave che incontreremo sulla nostra strada e con la superficialità con cui sono trattati gli antagonisti principali, mai davvero incisivi e ben caratterizzati.
Più in generale è davvero un peccato assistere, all'interno dello stesso gioco, a momenti corali davvero splendidi e ben confezionati dove la nostra/il nostro protagonista è in compagnia dei sette comprimari e li vediamo dialogare, confrontarsi, decidere insieme il da farsi, con quell'immaginario che è tipico di Dragon Age, intervallati da tutta una serie di botta e risposta davvero trascurabili e banali che smorzano con forza l'epicità dell'opera di BioWare.
Dove la scrittura del gioco scivola è anche nel modo in cui, in maniera evidente e spesso troppo forzata, insegue a tutti i costi un'inclusività massiccia a discapito della credibilità di dialoghi e situazioni. È più che corretto e auspicabile che i videogiochi rappresentino la società moderna per essere inclusivi, e sono da elogiare quei tentativi di rappresentazione fatti con sensibilità e consapevolezza. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, Dragon Age: The Veilguard sembra invece trattare il concetto di rappresentazione come una semplice lista da spuntare, con soluzioni di sceneggiatura e caratterizzazione dei personaggi che appaiono forzate e innaturali.
Una questione di missioni
Dragon Age: The Veilguard non lesina minimamente per quello che concerne sia le missioni che, più in generale, la quantità di contenuti lanciata contro il giocatore. C'è una missione principale, ci sono singoli archi narrativi per ognuno dei sette compagni (con tanto di rapporti romantici senza alcun tipo di limitazione sul fronte dell'orientamento sessuale), ci sono missioni esclusive delle varie fazioni che popolano il Thedas e ci sono anche avventure relative alle singole ambientazioni per sbloccare nuovi accessi e scorciatoie.
Veilguard è strutturato attraverso delle mappe aperte. Ci sono alcune città e il solito campionario di biomi: zone paludose, montuose, boschive, costiere e chi più ne ha più ne metta, il tutto collocato nella zona nord del Thedas. Per giustificare gli spostamenti, la nostra combriccola si sposterà sfruttando il Crocevia, una sorta di zona di passaggio posizionata nell'oblio che consente di sbloccare e poi attraversare gli Eluvian, ovvero dei portali che permettono di accedere alle varie aree. In aggiunta c'è anche una vera e propria base, il Faro: una sorta di casa dove potremo rilassarci, incontrare tutti i comprimari e anche svolgere una serie di attività aggiuntive come il potenziamento dell'equipaggiamento o l'arredamento di una sorta di stanza personale.
Il gioco riesce a gestire in modo furbo una certa ripetitività di fondo: ci troveremo infatti a tornare tantissime volte nelle ambientazioni più vaste e importanti per raccogliere nuove missioni o svolgere quelle già avviate in precedenza e, molto spesso, per compensare l'atroce backtracking, oltre al generoso teletrasporto, accorre in nostro aiuto un design dei livelli molto intelligente che prevede l'ampliamento di queste zone man mano che affrontiamo le missioni o anche semplicemente via via che la nostra comitiva si arricchisce di nuovi personaggi che si portano sempre in dote una sorta di abilità speciale utile ad aprire nuove vie di accesso e vere e proprie scorciatoie dal sapore di soulslike con condimento di metroidvania.
C'è anche un minimo di rapporto causa ed effetto nella narrazione di Veilguard. In un paio di occasioni saremo portati a prendere decisioni che avranno brevi ripercussioni sullo stato di alcuni scenari e arriveranno finanche a determinare l'indisponibilità temporanea di alcuni comprimari. Nulla di permanente o che porterà a sostanziali modifiche sull'evoluzione della trama che, in realtà è molto precisa e lineare nella sua dipanazione. Lo stesso vale per i dialoghi che avranno conseguenze molto limitate sullo stato dei rapporti con personaggi e fazioni. La tendenza del gioco è di essere estremamente permissivo e di consentire sul medio e lungo periodo solo conseguenze positive. Scordatevi insomma di vedere inibiti determinati percorsi o di assistere all'allontanamento definitivo di un compagno. Al limite impiegherete solo più tempo per sbloccare certe missioni o per finire sotto le coperte con qualcuno.
Quanto è action il gameplay di Dragon Age: The Veilguard?
E arriviamo al fulcro centrale di Dragon Age: il suo gameplay. The Veilguard è un gioco di ruolo fortemente action con visuale in terza persona e una spiccata propensione alla gestione del party. Con l'unica eccezione del Faro infatti, le ambientazioni dove potremo "riposarci" e chiacchierare con i compagni di viaggio, il gioco ci richiederà di affrontare le varie missioni con un gruppo di tre personaggi obbligandoci, in alcuni casi, ad optare per la scelta di almeno uno specifico alleato per questioni di trama.
A livello di dinamiche è necessario descrivere di seguito tutta una serie di elementi che caratterizzano questa imponente componente action. L'azione si svolge in tempo reale, ma è sempre possibile entrare in pausa tattica tenendo premuto un dorsale del controller e, a quel punto, direzionare i compagni verso determinati bersagli oppure attivare le loro magie e abilità speciali. E lo stesso vale anche per noi protagonisti.
Non è possibile impartire ordini più granulari come ad esempio posizionare gli alleati in determinate zone e, soprattutto, questi ultimi sono immortali e tendono sempre ad andare all'assalto a testa bassa non appena si avvia la fase di combattimento.
Bisogna però anche sottolineare come il sistema di combattimento, nella sua semplicità, sia comunque ben supportato da una varietà che, anche questa, non ci saremmo aspettati. Le azioni sono infatti le classiche: ci sono varie tipologie di attacco, tra colpi leggeri, pesanti, caricati e in salto; ci sono le parate che possono anche essere perfette, un paio di schivate, persino le esecuzioni e in più ci sono le sopracitate abilità speciali che consumano mana oppure richiedono un tempo di ricarica. È possibile impostare tre abilità per volta più una suprema che si attiva dopo un certo numero di attacchi. Il tutto si combina poi con le azioni dei comprimari visto che alla base di The Veilguard c'è un sistema di combo che prevede l'applicazione di malus agli avversari (che diventano una sorta di inneschi) e quindi l'attivazione di un detonatore che entra in risonanza con quello stato e comporta un danno maggiore all'avversario e anche un'esplosione che estende quel danno ai nemici circostanti.
Il loop di attacco si svolge quindi in questa danza attraverso la quale dovremo essere bravi ad attivare le abilità speciali nella corretta sequenza, gestendo i tempi di ricarica e selezionando i bersagli corretti per il massimo potenziale d'attacco. Anche in questo caso, però, viene fuori ben presto quell'effetto mischione di cui parlavamo all'inizio: questa smania di cercare di essere un po' tutto, senza mai caratterizzarsi e quindi offrire qualcosa di davvero sensazionale. Nonostante la profondità della personalizzazione garantita dalla natura ruolistica di Dragon Age infatti, la limitazione imposta dalle tre abilità "montabili" unita a una gestione dei cooldown estremamente conservativa, fa sì che nell'uso reale ci si senta molto limitati nelle interazioni d'attacco e, soprattutto, per gran parte del gioco si vada avanti sempre con un'unica configurazione senza che ci siano stimoli reali a cambiare.
Ci sono poi evidenti problemi con la gestione della difficoltà che si esacerbano in alcune missioni i cui boss finali sono terribilmente più complicati da affrontare rispetto a tutto quello a cui ci aveva abituato in precedenza il gioco e persino la gestione delle cure sembra inciampare nel bilanciamento, come se il tutto non fosse mai stato davvero testato e quindi ritoccato a progetto concluso. Tra l'altro, i livelli di difficoltà sono molteplici e personalizzabili, ma non ci sentiamo di escludere un generoso senso di frustrazione non appena si sceglie di spostare l'asticella verso l'alto. Nota di demerito anche per il sistema di lock del bersaglio che risulta sempre estremamente ballerino e si disattiva non appena il nemico è anche solo leggermente impallato nella visuale o attiva qualche abilità speciale che lo fa momentaneamente sparire, con conseguenze anche sugli ordini impartiti ai compagni.
Ma c’è anche tanto ruolo
Quanto appena descritto fa il paio con la componente ruolistica di Dragon Age che, almeno a prima vista, è curata e finanche colossale, estremamente vicina a quello che ci si aspetterebbe da un gioco di ruolo classico, non certo uno così action.
L'editor del personaggio è già di per sé straordinario nell'enorme personalizzazione estetica e fisica offerta e a questo si aggiunge la possibilità di optare per tre classi (guerriero, mago, ladro), ognuna specializzabile in tre archetipi attraverso i talenti. C'è poi da selezionare una fazione che rappresenta una sorta di background, un'origine per chi si ricorda il primo capitolo della serie, che ha alcune ripercussioni sui dialoghi e sui personaggi incontrati nel corso dell'avventura. Inoltre, viene persino data la possibilità di impostare l'esito di Inquisition selezionando tre diverse variabili dell'epilogo del gioco e arrivando fino a personalizzare esteticamente l'inquisitore. Tutta roba assolutamente gratuita e le cui ripercussioni sono davvero minime nell'esperienza finale, ma che evidenziano ancora una volta come The Veilguard avesse chissà quali ambizioni e sia stato più e più volte ritoccato e alterato nei suoi principi nel corso del lunghissimo sviluppo.
C'è ovviamente l'inventario con la possibilità di indossare anelli, talismani, copricapo, armature e una coppia di armi e c'è immancabilmente la gestione dei talenti attraverso un gigantesco albero di abilità passive, bonus vari e qualche attacco speciale che va poi concretamente montato tra i 3 utilizzabili durante il combattimento. E lo stesso è identico, seppure in versione alleggerita, anche per ognuno dei 7 comprimari che compongono la nostra Armata Brancaleone. Non mancano ovviamente un mare di reagenti e piccoli loot che servono sia a potenziare ed incantare l'equipaggiamento, sia a tirare su un po' di soldi da spendere poi nelle decine di mercanti disseminati nelle principali città.
E alla fine quello che rimane è l'amaro sapore di un'occasione sprecata: perché mettere in piedi tutto questo ben di Dio, stratificato e così orientato verso una formula di ruolo di stampo classico, se poi alla fine tutto si risolve in una titolo fortemente action? Forse sarebbe stato meglio prendere una strada più focalizzata e, paradossalmente, scegliere un preciso punto di vista tra i tre Dragon Age rispetto a tentare di ibridizzare ancora di più la formula cercando un compromesso che, come sempre capita in questi casi, non può rendere felice nessuno.
Arte e tecnica: uno strano miscuglio
E anche quando si parla di comparto artistico e componente tecnica, la parola d'ordine di The Veilguard è "mischione". Fin dalle prime immagini che hanno accompagnato il secondo reveal (o terzo?) ci si è resi conto della stranissima deriva artistica adottata da BioWare e, ora che abbiamo trascorso decine di ore con il prodotto finale, l'impressione non è cambiata. Per motivi che fatichiamo a comprendere, questo nuovo Dragon Age si presenta come fosse una sorta di spin-off di un titolo Blizzard. Un mix ipotetico tra World of Warcraft e Overwatch. Il look è fortemente cartoon, i colori sono spesso molto saturi e "sparati" (il che non sarebbe neanche male considerata l'appartenenza alla deriva più "alta" del fantasy) e tutti i personaggi sono fortemente caratterizzati dal punto di vista estetico, spesso diventando persino delle caricature, delle macchiette di sé stessi.
E lo stesso si può dire per le ambientazioni: quando si finisce nelle aree all'aperto la sensazione di spaesamento è meno marcata, ma nel momento in cui si entra negli accampamenti e nelle città, quel tentativo di unire un senso di oppressione e angoscia dovuto all'incombere di un disastro all'identità artistica colorata e cartoonesca, cozza in modo spesso dissonante. E lo stesso lo possiamo dire dell'originale mix tra fantasy e meccanico, tra neon e magie, tra armi da taglio e bracciali futuristici: una stranissima accozzaglia che davvero ha ben poco da spartire con il franchise di Dragon Age e sembra evidenziare la costante mancanza di identità che caratterizza un titolo che cerca davvero di essere tutto e il contrario di tutto.
Sia chiaro che non c'è niente di mal realizzato: i volti e le animazioni facciali sono ben fatti, gli ambienti, specie quelli molto ariosi, restituiscono un eccellente colpo d'occhio e, una volta accettata la natura "anomala" del comparto artistico, il gioco si lascia assolutamente apprezzare da un punto di vista estetico. Un po' meno, invece, dal lato tecnico visto che, per l'ennesima volta, The Veilguard tradisce il suo difficile iter di sviluppo.
Il titolo è infatti una lunga montagna russa che alterna elementi oggettivamente ben fatti (visi e ambienti su tutti, come dicevamo poco sopra) a robe decisamente al di sotto della sufficienza come buona parte dei terreni e spesso dei modelli di armi e armature. Per non parlare poi dell'anomala gestione dei livelli che, accanto a un design strutturale spesso eccellente e una dinamica a mappa aperta che permette la loro libera esplorazione, presenta dei punti di interazione di alcune missioni che portano a una sorta di caricamento dello stesso identico ambiente, ma come se si trattasse di una istanza temporanea.
Non è ben chiaro quale fosse l'idea originale di sviluppo (probabilmente la dinamica multiplayer da MMO poi rimossa anni fa), ma il gioco è infarcito di questi piccoli momenti dove si attraversano portali per salire di qualche metro o per entrare dal retro di un'abitazione, laddove la stessa mappa può essere attraversata in lungo e in largo senza soluzione di continuità.
A tutto ciò si aggiunge anche qualche problema di ottimizzazione che abbiamo verificato su PlayStation 5, l'unica piattaforma dove abbiamo potuto giocare Dragon Age: The Veilguard. Questa versione permette di scegliere tra la consueta modalità qualità che punta sulla risoluzione e quella performance che punta invece ai 60 frame per secondo. Nulla da dire su quest'ultima che si presenta abbastanza stabile ed è sicuramente quella che ci sentiamo di consigliare per affrontare l'avventura. Optando infatti per il dettaglio grafico, il gioco abbatte pesantemente il frame rate con conseguenze molto fastidiose sulla latenza dei comandi, che difficilmente ci è capitato di sperimentare in altri titoli che offrono la medesima scelta.
Infine, due parole sul comparto audio. The Veilguard è interamente doppiato in inglese e tradotto in italiano nei soli testi con un'ottima qualità dello scritto. Peccato invece per la colonna sonora che, nonostante la presenza urlata ai quattro venti di Hans Zimmer, non offre mai temi particolarmente orecchiabili o un accompagnamento generoso alle nostre gesta. E, trattandosi di un fantasy, questa è un po' un'occasione mancata.
Conclusioni
Cosa rimane da dire su Dragon Age: The Veilguard che non abbiamo già evidenziato e spiegato con dovizia di particolari in questa lunghissima recensione? La nuova epopea di BioWare è un enorme, stratificato, gigantesco, spesso bulimico mischione di robe diverse che tenta disperatamente di offrire tantissimo, di essere appetibile per qualsiasi amante dei giochi di ruolo, ma così facendo non riesce davvero a spiccare in nulla. Vogliamo però che una cosa sia ben chiara: alla fine l'esperienza è anche piacevole, decisamente al di sopra delle aspettative che ci eravamo fatti in questi mesi di annunci e trailer, ma non c'è davvero nulla capace di catturare il giocatore e di elevare il titolo al livello dei pesi massimi del genere. Ed è un gran peccato perché la dedizione del team di sviluppo traspare in moltissimi elementi come la sua profondità strutturale, il level design, i dialoghi corali, finanche un sistema di combattimento che, in fin dei conti, riesce anche a divertire, ma non abbastanza. Mai come in questo caso, sarebbe stato meglio togliere, togliere e ancora togliere, per offrire un'esperienza più a fuoco e meglio caratterizzata.
PRO
- Ci sono tantissimi elementi di ruolo, molti con una profondità inaspettata
- Il level design di gran parte delle aree è molto stimolante
- I dialoghi con i compagni e i momenti corali ben rappresentano Dragon Age
- Le quest sono tantissime e il gioco può durare più di 80 ore
CONTRO
- Il comparto artistico è un mischione di generi e stili
- Tecnicamente tradisce uno sviluppo troppo lungo
- Il combattimento sa essere divertente, ma anche troppo limitato
- Mai come in questo caso "less is more"